Con i suoi pon-pon giallo oro, soffici e profumatissimi, annuncia la primavera in Riviera quando i primi raggi di sole caldo e il cielo azzurro sembrano ignorare il calendario, che segna ancora l’inverno. La mimosa è indubbiamente uno dei fiori simbolo del ponente ligure: in questo territorio ha trovato infatti le condizioni ideali per lo sviluppo intrecciandosi, con il suo aspetto e i suoi significati simbolici, al racconto di una terra fragile e bellissima. Eppure la mimosa è originaria della Tasmania, nel sud dell’Australia. Arrivò in Europa solo nel XVIII secolo, trovando “terreno fertile” non solo in Riviera dei fiori ma anche lungo le coste della Toscana e nel sud, nonché sui laghi. Questo perché ama il clima temperato e rifugge gli inverni troppo rigidi.

La mimosa fa parte della grande famiglia delle Acacie, note come Leguminose Mimosacee: nello specifico si tratta di una Acacia dealbata. Gli alberi di questa pianta possono raggiungere dimensioni molto grandi, oltre i 15 metri, e i suoi rami dotati di fiore sono proprio quelli che definiamo comunemente mimose, e che vengono utilizzati per mazzi floreali e bouquet.

Caratteristiche sono le sue foglie bipennate: intorno alla nervatura centrale si sviluppano infatti diverse paia di pinnule perpendicolari, a loro volta composte da altre piccole foglioline. Ma anche i fiori sono particolari: si tratta di capolini tondi che ogni ramo presenta in grande quantità. Gialli, dall’aspetto vellutato e soffice, rendono visibili le chiome in fiore delle mimose anche da lontano, macchie gialle tra le colline, spesso cariche non solo di infiorescenze ma anche di delicato profumo.

Tante sono le varietà di mimosa: alcune annunciano il loro messaggio di primavera con fioriture precoci già a dicembre, anche se la maggior parte arriva a fioritura intorno a febbraio. A dettare il ritmo sono naturalmente le condizioni climatiche, ma anche la ricorrenza alla quale la mimosa viene associata in Italia, l’8 marzo, la Giornata Internazionale della Donna. La scelta di omaggiare le donne con questo fiore, all’apparenza fragile e delicato ma in realtà appartenente a una pianta robusta, in grado di resistere, risale a fatti storici e non a simbologie perse nella leggenda. Dal 1922 l’Italia ricordava la Giornata delle donne, ricorrenza tuttavia sospesa durante il ventennio. Solo nel 1946 quindi le donne dell’UDI – Unione Donne Italiane – tornarono a ricordare l’8 marzo. Furono loro, in particolare la militante Teresa Mattei, che sarebbe poi entrata a Montecitorio in Assemblea Costituente, a valutare l’utilità di associare la mimosa alla ricorrenza. Era un fiore diffuso nel periodo di marzo, dal costo contenuto e presente in tante campagne: fu scelto per questi motivi pratici.

Il fiore stesso, però, parlava da sé, col suo giallo simbolo di energia e luce. Nel linguaggio dei fiori, le acacie indicano rinascita e segnano il passaggio dal buio della morte alla luce. Non è tutto: guardando all’etimologia, è facile che il termine mimosa derivi dalla radice spagnola mimar, cioè accarezzare, a evocare la sensibilità femminile. Esplorando più a fondo, la stessa parola acacia deriva dal greco senza (a) negatività (cacha), quindi candore. Ma l’acacia dealbata è un’acacia non bianca, bensì gialla, ed è affascinante giocare con la lingua per arrivare a parlare della mimosa come di un’acacia simbolo di candore, tuttavia non-bianco: un’altra perfetta definizione della femminilità, molto moderna. Un fiore come la mimosa, carico dell’annuncio di primavera, sembra davvero perfetto per festeggiare la femminilità, come conferma la sua diffusione intorno all’8 di marzo.

Non solo nell’Europa moderna si è soliti conferire tutto questo potere simbolico alla mimosa, sembra infatti che già i nativi americani regalassero acacia dealbata alle donne amate, mentre gli aborigeni dell’originaria Australia usavano la pianta per proprietà curative. La vera curiosità? La mimosa piace tanto alle giraffe: non i fiori, bensì le foglie, di cui questo animale fa grandi scorpacciate.

Articolo della nostra collaboratrice Alessandra Chiappori.

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