Una coltivazione molto particolare, colorata e di sicuro effetto: da Sanremo al mondo intero, il Lathyrus Odoratus, il cosiddetto Pisello Odoroso, viene prodotto dall’azienda floricola Roberto Capelli. Ci siamo fatti raccontare i segreti di questa pianta, per scoprirla meglio tra difficoltà, attenzioni, e qualche sorpresa internazionale.
Come presenterebbe la sua azienda?
«Siamo nati come azienda familiare e siamo rimasti tali: io stesso ho iniziato, 44 anni fa, perché mio padre coltivava. All’epoca c’erano i garofani: il mercato di Sanremo poi è cambiato e così è cambiata anche la nostra azienda. I garofani sono stati praticamente abbandonati da tutti, e si è passati ad altre coltivazioni, sempre nell’ambito del fiore reciso».
Per esempio?
«Ranuncoli, oppure anemoni. Ma la vera intuizione è arrivata da mio padre che, attraverso amici, ha conosciuto alcuni coltivatori di Lathyrus Odoratus, il pisello da fiore. Negli anni Venti e Trenta si coltivava molto in questa zona del Ponente ligure, poi piano piano è stato abbandonato»
Siete quindi tornati, in un certo senso, a una coltivazione storica.
«Esattamente. Mio padre attraverso amici ha contattato coltivatori olandesi che si occupavano di Lathyrus Odoratus e grazie a loro abbiamo avuto la possibilità do collaborare con un ragazzo che stava facendo l’università a Tokyo e che, tramite il suo professore, ha di fatto svolto una sorta di master qui da noi».

Ovvero?
«È rimasto impiegato per un’intera stagione da noi: abbiamo potuto così apprendere diverse tecniche colturali e abbiamo adeguato il suo sapere alle nostre esigenze climatiche: per temperatura e spazi abbiamo condizioni completamente differenti da quelle sia del Giappone che dell’Olanda».
È una pianta più nota all’estero?
«Si tratta di un prodotto coltivato da sempre, noi l’abbiamo ripreso fino a farlo diventare un fiore di zona, che siamo tra pochi a coltivare. È un prodotto che faccio da trent’anni, e in questo periodo ho provato a spiegare quanto potesse essere interessante coltivarlo. È una pianta che qui è stata un po’ snobbata, e dunque tanti giovani non sono venuti a conoscenza delle opportunità che poteva avere».
Secondo lei come mai?
«Indubbiamente il Lathyrus ha qualche difficoltà di coltivazione. Per esempio è molto influenzato dal clima, dalla temperatura, dalla luce… è molto difficile quindi riuscire ad avere una produzione abbastanza omogenea e lineare, specie negli ultimi anni di cambiamento climatico importante. Quando abbiamo iniziato noi si seminava dopo la metà di agosto, oggi devo andare oltre la metà di settembre per via delle temperature troppo alte, con cui la pianta entrerebbe in crisi. Quindi le stagioni si sono accorciate molto: fino a qualche anno fa a maggio avevamo un clima primaverile caldo, ma non così. Oltre a sentire molto le variazioni di clima, la pianta reagisce anche alla luce: se manca, non riesce a produrre, si “annebbiano” i fiori che sta formando e non si raccoglie niente».
Verrebbe un po’ da scoraggiarsi…
«Va usata una prospettiva di lungo periodo: si prendono stagioni buone così come meno buone, probabilmente questo ha un po’ scoraggiato, oltre al fatto che non c’era nessuno a cui chiedere consigli sulla coltivazione. Quando noi abbiamo iniziato siamo stati fortunati per i contatti con l’Olanda, ma chiaramente da loro le condizioni atmosferiche sono diverse: qui avevamo una stagione molto più lunga della loro, c’era la possibilità di avere il prodotto per più tempo».
Cioè?
«Quando ho iniziato, seminavo a metà di agosto e avevo il prodotto a novembre, fino poi ad aprile e maggio per 7 mesi di produzione. Ora si è accorciato tutto, la forchetta si è ristretta e siamo sui 5 mesi circa. Dipende ovviamente sempre dal clima».
Un’incognita comune però…
«Infatti. Ma in altre coltivazioni, per esempio nei ranuncoli o negli anemoni, una volta che si forma il fiore alla fine si raccoglie qualcosa. Nel nostro caso il fiore si forma, ma se poi il tempo è nuvoloso e non c’è insolazione, la pianta fa proprio cadere il fiore e bisogna aspettare la luce necessaria perché si riformi un altro fiore. Con un tempo altalenante non c’è mai continuità sulla raccolta, anche se a primavera col bel tempo naturalmente esplode tutto. Prima, tuttavia, avevamo la possibilità di fare una raccolta anche nel periodo invernale, era la nostra forza non essendoci allora il mercato olandese, avevamo più spazio. Non va trascurato nemmeno il mercato giapponese, loro sono dei maestri per il Lathyrus Odoratus».
Dove esportate questo fiore?
«Da quando abbiamo messo a punto un sistema di trasporto a base di gel di acqua, si è aperto un mercato prima impensabile. Abbiamo iniziato a girare sugli Stati Uniti, che hanno capito che dall’Italia c’era la possibilità di avere questo fiore, e non arrivava solo da Olanda e Giappone. Piano piano siamo cresciuti: il 70% circa di produzione va verso gli Usa, il resto in Francia, qualcosa nel resto d’Europa».

In Italia?
«Mi spiace che in Italia non sia tanto conosciuto o richiesto, perché a differenza di altri fiori non c’è tanta possibilità di ricarico da parte di chi vende, dunque è un po’ snobbato. Però le persone che prendono i miei fiori restano impressionate dalla durata: chiaramente al momento della raccolta il fiore va trattato, ma con gli opportuni accorgimenti posso garantire la durata per 14-15 giorni. Anche questo ha permesso che si aprissero mercati per i quali occorrono due o tre giorni affinché il fiore arrivi, e arriva sempre fresco grazie all’imballaggio e alla durata stessa del fiore».
Che cosa c’è nel futuro?
«L’età e qualche problema di salute mi fanno propendere per diversificare, cosa che sto già facendo da qualche anno: non resterò legato alla floricoltura».
Troppa difficoltà?
«Non escludo, specie per quest’ultimo anno, il problema dell’acqua, che è diventata una cosa inavvicinabile. Abbiamo avuto grossi problemi, pur usandola solo da settembre a maggio e non nel periodo estivo: l’approvvigionamento è diventato davvero difficile, per i prezzi e per le mancanze di politiche sul tema».
Però sul Lathyrus c’è tanta passione…
«Sì, ci sono tante piccole soddisfazioni personali arrivate nel corso degli anni passati a coltivare il Lathyrus Odoratus: diverse volte abbiamo servito la Casa Bianca, o i reali di Olanda, in un paese come l’Olanda! Qualche volta il Festival di Sanremo, l’Eliseo a Parigi, i Grammy Awards negli USA. Piccole cose che però fanno piacere, come l’essere diventato un punto di riferimento per un fiore che qui non era più coltivato».
Se si parla di Lathyrus Odoratus, insomma, si parla di lei
«Un po’ è così. Per esempio sono stato contattato da una scuola media del Centro Italia, una docente aveva letto della mia coltivazione: li ho seguiti, ho dato loro delle dritte e delle semenze, per approfondire la famosa legge genetica Mendel, è stato molto bello!»




