Da secoli, il nasturzio nano (Tropaeolum minus L.) non è più presente in Italia. La pianta della famiglia delle Tropaeolaceae, originaria del Sud America, è stata sostituita dal più resistente nasturzio comune (Tropaeolum majus L.). Eppure, per un breve periodo, il nasturzio nano è stato coltivato nel nostro paese, e ci è arrivato decenni prima di quanto creduto finora.
La chiave per arrivare a questa scoperta era nascosta tra le pagine dei pochi erbari rinascimentali sopravvissuti fino ai giorni nostri, tra tutti quello di Ulisse Aldrovandi: custodito all’Università di Bologna e di gran lunga il più importante a livello mondiale.
«Il nasturzio nano è stato importato in Europa intorno al 1570 ed era piuttosto popolare nei primi decenni del Seicento, sia come medicinale che come specie ornamentale, e anche come verdura commestibile» dice Fabrizio Buldrini, botanico del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, che ha guidato lo studio. «In Italia, fino a poco tempo fa, la sua introduzione era fatta risalire solo al 1642, ma di recente una serie di indizi ci ha suggerito che questa datazione potesse essere anticipata agli ultimi decenni del Cinquecento».
Questi indizi arrivano principalmente dallo studio degli erbari antichi, le primissime collezioni di piante secche composte a scopo di studio, risalenti al XVI secolo. Ben tre dei nove erbari antichi oggi noti a livello italiano sono custoditi nell’Erbario dell’Alma Mater, su un totale di una ventina di erbari rinascimentali esistenti al mondo: un patrimonio preziosissimo che rende l’Università di Bologna – con il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali e il Sistema Museale di Ateneo – un centro unico per questo tipo di ricerche storiche e botaniche. Lo studio degli erbari antichi implica l’integrazione di competenze molto diversificate – flora, sistematica, storia della scienza, lingua latina, codicologia, filigranologia – ed è reso possibile dall’illustre tradizione di studi botanici dell’Alma Mater e dal patrimonio di erbari storici custodito dall’Ateneo.
Le indagini portate avanti sul caso del nasturzio nano (Tropaeolum minus) hanno così permesso agli studiosi di ritrovare tracce della presenza della pianta in Italia già sul finire del Cinquecento.
«Nelle ultime tre decadi del XVI secolo il nasturzio nano era presente sicuramente a Bologna, a Genova, a Firenze, a Roma e a Pisa», spiega Buldrini. «Possiamo ipotizzare che questa pianta sia arrivata in Italia tra il 1567 e il 1570: la sua coltivazione deve essere iniziata non più di dieci anni più tardi, ma ha avuto probabilmente poco successo.»
Il nasturzio nano si è infatti diffuso facilmente nelle aree centrali dell’Europa, con un clima continentale, mentre cresce con molta più difficoltà nelle regioni settentrionali e in quelle mediterranee. Gli studiosi ipotizzano quindi che dopo un’iniziale diffusione come rarità in arrivo dalle Indie Occidentali, il nasturzio nano sia stato sostituito dal più resistente e colorato nasturzio comune (Tropaeolum majus).
«Esplorare e documentare i cambiamenti della biodiversità vegetale attraverso il tempo ci permette di ricostruire una memoria botanica utile a interpretare le tendenze attuali, influenzate dai cambiamenti globali», aggiunge Buldrini. «Gli erbari antichi e le indagini ad essi correlate, in questo senso, hanno un ruolo insostituibile».
Decisivo per questo è l’erbario di Ulisse Aldrovandi, senza dubbio il più importante dei tre erbari rinascimentali custoditi a Bologna: datato tra il 1551 e il 1586, è un documento unico al mondo per antichità, numero di specie presenti, precisione e abbondanza della nomenclatura usata, annotazione delle località di raccolta dei campioni. Aldrovandi, infatti, raccolse piante in modo sistematico, con un approccio e una mentalità scientifica tali da permetterci di utilizzare il materiale catalogato quasi come se fosse stato raccolto ai giorni nostri.
Gli esiti dello studio sul nasturzio nano (Tropaeolum minus) sono stati pubblicati su Rendiconti Lincei. Scienze Fisiche e Naturali con il titolo “Redating the arrival of Tropaeolum minus in Italy”. Gli autori sono Fabrizio Buldrini e Umberto Mossetti dell’Università di Bologna, insieme a Juan Francisco Morales della University of West Indies (Trinidad e Tobago).