Una piccola azienda familiare nella piana di Albenga, dove un tempo spopolavano i fiori recisi. L’azienda floricola di Gianluca Navone si dedica oggi principalmente alle peonie, ma la sua storia parte da quell’epoca d’oro, ed è fatta di investimenti, fatica, passione e scoperte. Abbiamo chiacchierato con il proprietario per raccontare una realtà che nel tempo ha cambiato molte volte fisionomia, e che oggi si interroga sulle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Quale è la storia di questa azienda e quando nasce?

«L’azienda nasce nel dopoguerra: mio nonno aveva iniziato con i fiori recisi. Una volta Villanova era famosa per le violette, che poi negli anni sono andate perdendosi per via del ciclo di vita molto breve ma che hanno segnato anni importanti. A Villanova c’era la cooperativa che era stata fondata da mio padre. C’erano poi anche altri fiori: bocche di leone, alstroemerie, ranuncoli, fresie, il tutto portava un bell’indotto. Poi, un po’ per limiti di età un po’ per scelte sbagliate, sono spariti quasi tutti. Una volta finiti gli studi io ho preso in mano il reciso con mio nonno, e sfruttando le campagne familiari abbiamo iniziato a occuparci anche di carciofi e altro. Dagli anni Novanta, con il boom delle aromatiche da vaso, abbiamo convertito una parte dell’azienda. Facevamo tutte le erbe fresche: lavanda, timo, origano… È stata una fase di passaggio: negli ultimi anni era diventato difficile gestire sia il reciso sia i vasi».

E poi?

«Allora ho resettato tutto e convertito i terreni in reciso: ho più di un ettaro di peonie di vari colori, e anche una produzione di ranuncoli e anemoni, molto piccola, la gestisco quasi da solo. Non è stata una scelta indolore, ho dovuto fare enormi sacrifici e ripartire da zero: avevo già una coltura di peonie ma dovevo ampliarla, ci sono voluti anni per ripartire sul pulito: togliere i bulbi, disinfettarli, metterli a dimora… »

La peonia la fa da padrona insomma

«Sì, anche se negli ultimi anni sono sceso con la quantità, purtroppo il ciclo della pianta non è eterno: quest’anno ne ho raccolto veramente poche, ma nelle annate buone nel giro di un mese, da metà aprile a metà maggio, arrivo a raccoglierne 60-65mila fiori»

Cos’altro si coltiva oltre alle peonie?

«Ho provato a mettere le rose da bacca. Stanno iniziando proprio ora a cambiare colore: fanno delle sorte di “palline” rosse e arancio. Alcune varietà si vendono a peso, altre a stelo. Ho fatto delle prove in questi anni e ho individuato alcune varietà che per le mie esigenze vanno bene, l’idea è di aumentare un po’ la quantità. E poi di inverno mi occupo di anemoni e ranuncoli»

Quale è una giornata tipo di Navone?

«Alcune sono molte intense: quando c’è la raccolta si finisce anche alle dieci di sera. Al mattino ci si alza presto quando c’è da fare, appena albeggia, e si va a raccogliere nei campi. Con le peonie c’è davvero tanto da fare. Al pomeriggio si fanno i mazzi, si mettono in frigo, si confezionano, e il mattino dopo si parte che è ancora notte per andare al mercato di Sanremo. Le peonie rendono bene ma danno tantissimo lavoro: per venti giorni non c’è mai stacco. Nel resto dell’anno, essendo solo, gestisco bene l’attività perché mi organizzo. Ora che siamo nella fase della preparazione delle serre, per inizio, inizio sempre 15-20 giorni prima, perché le cose da fare richiedono tempo».

Che dimensioni ha l’azienda?

«Sono da solo, mia mamma mi dà una mano. Fino a quando ci sono state le aromatiche avevo dei dipendenti fissi, ora che ho diviso riesco a seguire tutto da solo. In questo periodo seguo le bacche e un po’ di fogliame, ranuncoli e anemoni, la vera difficoltà è in primavera, quando non ho sabati né domeniche, ma riesco a sopperire. Sono un’azienda piccola nonostante i quindicimila metri, a volte non sembra vero che riesca a fare tutto da solo, ma essendoci alternanza ce la faccio. Un po’ di entusiasmo e voglia di fare c’è ancora! Come richiesta di mercato non mi posso lamentare, ma il problema grosso degli ultimi anni è il clima».

Come impattano il caldo record estivo e il cambiamento climatico sull’azienda?

«Sulle serre più che coperture e ombreggianti non posso fare, fuori è tutto in campo aperto, non è semplice: ora che fa caldo le peonie sono a riposo, il problema arriva quando dovrebbe esserci il freddo invernale e non c’è. Villanova è sempre stata una zona molto buona per le peonie, che hanno bisogno di freddo in inverno: negli ultimi due anni le cose non sono più andate allo stesso modo, fa freddo pochi giorni e la pianta non reagisce come dovrebbe. Avrebbe bisogno di una quarantina di giorni di temperature basse, ma sono condizioni che negli ultimi anni non abbiamo visto. Non c’erano mai stati i pidocchi e gli afidi sui fiori a gennaio!»

Come vede il futuro da questo punto di vista?

«Spero che le cose vadano bene: dopo il covid ci siamo rimboccati le maniche in questo settore e superato il blocco della pandemia la stagione successiva è stata bella. Il fiore reciso non è un bene fondamentale, ma c’è sempre richiesta, soprattutto all’estero dove è un prodotto valutato bene, mentre in Italia il culto del fiore reciso non è così sentito. In ogni caso l’indotto funziona, le richieste ci sono e certamente anche in questo il cambiamento climatico ha un peso. Sicuramente chi ha la monocultura è più preoccupato di me: avendo altri mercati io riesco ad andare avanti lo stesso, anche perché l’azienda è piccola»

C’è un fiore che preferisce?

«Sono legato a tutti: di solito vado a cuore e metto cose che mi piacciono. Le peonie restano le mie preferite: sono fiori molto belli, con varietà profumate. Tutti gli anni le rinnovo perché ci vuole tempo per metterle in produzione, ma ci sono affezionato: in quindici giorni si finisce di raccogliere, ma la coltivazione, porta via tanto tempo, perché prima di iniziare a raccogliere seriamente occorrono quattro anni. È un investimento, ma bisogna calcolare che per tre anni si fa poco. Ho coltivato anche i ranuncoli per diverso tempo, ma ora non ci sono più le condizioni. Ora devo valutare la situazione delle bacche, sono un prodotto interessante, anche se hanno le spine!».

Intervista della nostra collaboratrice Alessandra Chiappori.

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