La rubrica Nota Tecnica di giugno ci porta alla scoperta dei laboratori del Crea-OF di Sanremo e del lavoro della dott.ssa Laura De Benedetti, tra microscopi, DNA, rose profumate e persino ortaggi del ponente ligure.
Chi è Laura De Benedetti e di cosa si occupa per il Crea?
«Ho una laurea in biologia che risale a qualche anno fa ormai! Mi sono specializzata in biotecnologie vegetali e sono entrata al Crea come borsista e poi con collaborazioni fino al 2019, quando sono stata assunta come ricercatrice. Sono al Crea da quasi 30 anni! Finché ci sono state le suddivisioni in sezioni lavoravo in quella che si chiamava Sezione di Miglioramento Genetico che si occupava di creare nuove varietà anche attraverso programmi di ibridazione. Ho fatto soprattutto molto laboratorio: più che di piante in campo, un settore marginale per me, mi sono occupata e ancora mi occupo di piante dal punto di vista della ricerca di laboratorio».
In cosa consiste il suo lavoro in laboratorio?
«In particolare ho a che fare con tecniche di analisi del DNA, mi occupo di quelli che vengono detti marcatori molecolari. Sono tecniche che ci permettono di individuare differenze a livello del DNA delle piante, che nel nostro caso sono per lo più ornamentali. Ho lavorato su diverse varietà di garofano, sulla rosa, su cui sto ancora lavorando, e poi alstroemerie, statice».
Che progetti sta seguendo attualmente?
«Al momento il Crea è capofila di due progetti sulla biodiversità in ambito agricolo. Uno riguarda specie sia floricole che orticole tipiche del ponente ligure, è finanziato dal GAL Riviera dei Fiori e rientra nei progetti del PSR Liguria. Io sono la referente di una ricerca che riguarda la conservazione e caratterizzazione della zucchina trombetta, del pomodoro cuore di bue, dell’aglio di Vessalico e del fagiolo di Conio, come specie floricola seguiamo invece la calla bianca».
È insolito che abbiate anche un orto dove non ci sono solo fiori!
«Già, negli ultimi anni il Crea si è un po’ trasformato: da quello che era l’Istituto sperimentale per la Floricoltura, che si occupava solo di fiori come in effetti era all’inizio della mia carriera, siamo passati a occuparci anche di piante aromatiche, studiando sia l’aroma che l’aspetto ornamentale. Il Crea di Sanremo è oggi parte del Centro Orticoltura e Florovivaismo, negli ultimi anni quindi ci occupiamo anche, seppure non in maniera preponderante, di qualche coltura orticola e abbiamo la nostra piccola parte di orto dedicata. Sulla calla, invece, proseguono gli studi avviati già in progetti passati».
Vi occupate anche di conservazione delle piante, giusto?
«Tra le attività del Crea c’è la conservazione, esatto: abbiamo predisposto dei campi catalogo per mantenere le specie, e poi raccogliamo il seme o nel caso della calla che si propaga dai rizomi, manteniamo quelli. In laboratorio seguiamo poi la coltura in vitro, che stiamo portando avanti anche per le colture orticole che dicevo e per la calla. In vivo, naturalmente, l’orto e le fioriture seguono la stagionalità e quindi non possiamo avere i campi catalogo tutto l’anno, al contrario della coltura in vitro.»
Mi parlava di due progetti…
«Sì, sempre con Crea capofila e me come referente, stiamo sviluppando il progetto che è stato presentato sul tema agro-biodiversità alle giornate di Villa Ormond dello scorso aprile, che è dedicato alle rose da sciroppo coltivate in Valle Scrivia, nell’entroterra di Genova, nell’ambito del Programma di sviluppo rurale.»
In che costa consiste il progetto sulle rose?
«Anche per questo progetto ci occupiamo della conservazione: i campi cataloghi sono presso i tre coltivatori della Valle Scrivia, che costituiscono le aziende partner, mentre lato nostro manteniamo queste rose in vivo negli spazi all’aperto del Crea di Sanremo. Sulle rose facciamo inoltre attività di mantenimento attraverso la coltura in vitro, che abbiamo avviato. La caratterizzazione genetica non è prevista, al contrario di altri progetti che seguiamo, ma abbiamo invece una collaborazione con l’Università di Genova che si occuperà di individuare specifici metaboliti per ognuna delle tre varietà in studio».
Vi occupate anche di studiare queste rose?
«Il Crea in questo progetto segue da vicino la descrizione morfologica della specie: quelle da sciroppo sono rose che crescono in condizioni molto rustiche con caratteristiche particolari: per esempio l’abbondanza di spine. Per ogni pianta che seguiamo, in tutti i progetti prepariamo delle schede descrittive sulle principali caratteristiche che variano in base a ogni specie. In questo senso ne teniamo conto sia per le colture ortofrutticole sia per le rose da sciroppo: sono entrambi due progetti diversi che a loro modo sono ricollegati alla Liguria e che hanno lo stesso scopo finale, cioè il mantenimento».
Vorremmo entrare con lei in laboratorio e scoprire come si svolge la sua giornata tipo, ce lo racconta?
«Partiamo dalla coltura in vitro: la giornata tipo in questo caso significa preparare tutto ciò che serve, fra cui principalmente i substrati di coltura sterili, e poi passiamo al materiale da mettere in vitro, piantine o semi. In ogni caso procediamo sempre con sterilizzazione e preparazione delle piante su substrati idonei per la crescita, e poi per il mantenimento e la propagazione».
Non c’è solo questa parte però…
«Esatto, poi ci sono le tecniche di analisi del DNA, si tratta di estrarre dalle cellule vegetali il materiale genetico. Lo facciamo con dei kit commerciali: le prime fasi consistono nella frantumazione delle pareti e delle membrane cellulari; una volta estratto il DNA dalle cellule utilizziamo dei metodi che sfruttano la luce ultravioletta e ci consentono di visualizzarlo in qualità e quantità».
Come si legge poi questo DNA?
«Abbiamo degli strumenti particolari per visualizzare dei “pezzi” di DNA, non studiamo l’intero genoma, ma possiamo evidenziare delle differenze fra un individuo e un altro. Una delle tecniche che vengono sfruttate ultimamente per farlo è l’amplificazione del DNA, la metodologia detta PCR: Polymerase Chain Reaction. Si tratta di una tecnica base, poi ci sono altre opportune strategie per determinare le differenze oppure per vedere se questi frammenti di DNA descrivono individui o altri aspetti ancora che ci interessa indagare. Per esempio al Crea stiamo studiando il DNA delle calle che teniamo in conservazione, così da determinarne le caratteristiche specifiche».
Cosa ama di più del suo lavoro?
«Ho lavorato tanti anni sull’analisi del DNA, ed è questa la parte che mi piace di più del mio lavoro: è vero che la morfologia della pianta è evidente, nel senso che vediamo una rosa e possiamo dire che è diversa da un’altra, ma in alcuni casi lavorare sul DNA può fornire informazioni complementari alla morfologia, oppure su varietà che vengono chiamate allo stesso modo, ma in realtà sono diverse fornire una prova della loro differente natura. Sono attratta dallo studio delle relazioni tra varietà attraverso dall’analisi del DNA anche nei programmi di incrocio: può essere utile per esempio per determinare se tutto è andato bene per la pianta nella fase di ibridazione, e quindi se la nuova pianta ottenuta è effettivamente un incrocio tra le due di partenza».
Ci sono altre applicazioni di questi studi?
«Sì, semplificando molto posso dire che studiamo anche la variabilità genetica nell’ambito di popolazioni naturali per la loro conservazione, o ancora, nel caso delle nostre piante coltivate, di stabilire le relazioni genetiche tra specie diverse che possano essere utili nell’impostazione di programmi di ibridazione interspecifica».
C’è una pianta in particolare a cui è più affezionata?
«Mi piace lavorare sulle rose: a parte le rose da sciroppo, ho lavorato su questi fiori anche in altri progetti e mi affascinano sempre. Ogni pianta che si studia necessita di una conoscenza approfondita, anche della bibliografia prodotta dalla ricerca, e quindi ogni pianta è un po’ un mondo a parte. Mi interessano molto anche le aromatiche, sono specie con cui abbiamo avuto tanto a che fare e il mirto era tra le mie piante preferite per via del suo aroma particolare».
Intervista di Alessandra Chiappori.